le tradizioni popolari

le tradizioni popolari

LE TRADIZIONI POPOLARI

Ogni comunità di antiche origini, piccola o grande, porta con sé i segni della propria vitalità. Nella vita di un paese rurale come Valpromaro, in profonda trasformazione a partire dal Dopoguerra, le tradizioni legate alla vita di campagna e alla spiritualità, rappresentano la permanenza maggiormente identitaria e significativa. Segni e ricorrenze con cui per generazioni si è identificata l’intera comunità locale, e che oggi sono motivo di una diversa vitalità non meno significativa e ricca di aspetti interessanti.

La Madonna dei Miracoli – La comunità di Valpromaro celebra con molta devozione due ricorrenze che vedono protagonista Maria, Madre di Dio.  La prima è di carattere Lucchese e riguarda la Madonna dei Miracoli che, insieme al Volto Santo e a Santa Zita, ha rappresentato da sempre una delle tre massime ricorrenze della fede lucchese.    La storia ha origine a Lucca, il 29 marzo 1588. Si narra che un giovane soldato posto a guardia della Porta dei Borghi (una delle tre porte della cerchia delle mura medievali della città), mentre era intento ad una partita a dadi, proruppe in una bestemmia ai danni della Madonna, e subito il braccio gli si spezzò. Nel locale in cui si trovava era affrescata su un muro una piccola immagine della Vergine, che divenne immediatamente oggetto di venerazione collettiva e meta di pellegrinaggi. Il fermento religioso e la notizia di prodigi compiuti dall’immagine, spinse le magistrature dello stato ad ordinarne la traslazione nella Chiesa di San Pietro Maggiore. Il fervore dovette essere davvero significativo dato che le fonti riferiscono della costituzione di una Confraternita fra le più importanti della città dedicata alla Madonna dei Miracoli. E nel breve volgere di qualche anno fu pure deciso di assegnare il titolo alla nuova porta appena realizzata lungo la nuova cinta delle mura rinascimentali della città. La chiesa di San Pietro Maggiore divenne in breve nota come chiesa della Madonna dei Miracoli.
La fortuna del culto tramontò con le soppressioni degli enti religiosi operata durante il principato baciocchesco, cioè il tempo in cui governò a Lucca la sorella di Napoleone, Elisa Bonaparte Baciocchi dal 1805 fino al 1815, che provocò pure la distruzione della Chiesa di San Pietro Maggiore. L’immagine all’epoca fu trasferita presso il quarto altare di destra della Chiesa di San Romano, da cui è stata misteriosamente trafugata negli anni Novanta del secolo scorso. Rimane viva la devozione al culto della Madonna dei Miracoli, nella domenica dopo Pasqua, a Valpromaro e a Borgo a Mozzano, dove la Madonna detta dei Ferri, è patrona del Comune. In paese, fino agli anni 60, la Festa della Madonnina, era la festa grande. Il borgo non riusciva a contenere la gente che nella giornata di lunedì arrivava per la celebrazione.  Così molti dei paesi vicini seguivano la processione dai colli posti di fronte alla chiesa, allora spogli ed oggi coperti di boschi. In questa ricorrenza era tradizione presentarsi con gli abiti nuovi che localmente viene detta festa dell’incigno. Era occasione di conferma della secolare devozione mariana, ma anche di allegria, il momento in cui si facevano e si mangiavano le torte ripiene, le case si riempivano di parenti e conoscenti invitati. Aspetti familiari, religiosi e sociali s’intrecciavano fra di loro.

La Madonnina del canale – Il piccolo borgo di Valpromaro ha avuto origine da famiglie dedite all’agricoltura molto devote alla Madonna; su questo culto s’innestò l’esperienza per certi versi mistico-religiosa vissuta da Don Albino Moretti, curato di Valpromaro dal marzo 1902 al settembre 1904. Allora il borgo contava circa 350 abitanti e viveva un momento di sviluppo e di crescita economica legato alle attività commerciali ed imprenditoriali che erano favorite dalla strada e stava diventando il centro di riferimento dei paesi vicini. Si avviava ad essere quello che oggi, con un po’ di rimpianto, gli anziani ricordano il “capoluogo” delle Sei Miglia.
Solo ricorrendo a frammentarie testimonianze orali, oltre che al racconto fatto da Giuseppe Bertacchi in una vecchia pubblicazione sul paese, è possibile comprendere l’origine del piccolo santuario lungo il Canale di Renipoli: Don Albino curato di Valpromaro, nobile figura di sacerdote e di apostolo di Cristo, mentre passeggiava per i viottoli ombrosi che camminano ai margini del canale di Renipoli con alcuni dei suoi ragazzi … vide, seminascoste fra siepi e sterpi, alcune grotte. Nei pressi la comitiva si fermò a fare colazione … Al termine don Albino pose all’ingresso di una grotta una piccola statua della Madonna, che aveva portato con sé. Dinanzi alla statua fu recitato il rosario. Quando dopo alcuni giorni il gruppo di ragazzi e il sacerdote tornarono a pregare ai piedi della statuetta vi trovarono un lume acceso. Presto in molti, individualmente o guidati da Don Albino, si recarono a pregare davanti alla piccola immagine. Gli abitanti di Valpromaro fecero scolpire presso un laboratorio di scultura pietrasantino una statua della Madonna, che doveva essere portata solennemente in processione per sostituire quella piccola portata da Don Albino. Ma Il Vescovo di Lucca proibì lo svolgimento della cerimonia, spinto dai parroci dei paesi limitrofi, dispiaciuti di veder le loro chiese deserte durante le funzioni pomeridiane dei giorni festivi, per l’affluire della gente sulle sponde del Renipoli.
Allora i Valpromaresi, non potendo portare solennemente la loro Madonnina sul canale di Renipoli, ce la portarono tacitamente”. In seguito la statua della Madonna venne inserita in una cappella costruita sotto lo sperone roccioso dove venne collocata per la prima volta e il giorno 8 settembre, quando si ricorda la Natività di Maria, finì per diventare il giorno della festa della Madonnina del Canale. Durante il secondo conflitto mondiale, in particolare nell’estate del 1944, gran parte degli abitanti del paese e alcune famiglie di sfollati si rifugiarono in ricoveri di fortuna lungo il Canale di Renipoli.
La zona di fronte alla Cappella della Madonna divenne un punto d’incontro dove molti si ritrovavano a pregare o ad assistere alle messe che vi venivano celebrate. Ai piedi della Madonna molte erano le foto di militari al fronte, per i quali s’invocava la protezione della Vergine. Dopo un periodo in cui la festa si è svolta in tono minore, negli ultimi anni, per volontà degli abitanti è stata rilanciata, spostata alla domenica più vicina all’8 settembre per favorire una maggiore partecipazione popolare ed affiancando alla parte religiosa una serie di altre iniziative.

I Sonetti – Col termine “sonetto” è inteso un componimento poetico, tipico soprattutto della letteratura italiana, il cui nome deriva dal provenzale sonet.  Nella sua forma tipica, è composto da quattordici versi endecasillabi  raggruppati in due quartine a rima alternata o incrociata e in due terzine a rima varia.
Nell’area della Lucchesia la tradizione popolare identifica nel sonetto non solo un genere poetico, ma qualcosa dotato di una sua fisicità, un riquadro di seta o di carta, su cui è stampato un componimento in rima, legato a momenti religiosi o feste della parrocchia.
Dalla seconda metà dell’Ottocento e fino a pochi decenni fa questa particolare e significativa espressione della religiosità popolare era contestuale alle ricorrenze religiose più importanti.  In particolare a Valpromaro – per la Festa della Madonna dei Miracoli, il primo lunedì dopo la Pasqua – era tradizione far stampare “Sonetti” e “Santini”. A curare l’organizzazione delle celebrazioni erano i “festaioli” che avevano anche il compito di sollecitare offerte, necessarie, tra l’altro, per la stampa di un sonetto.   Alcune famiglie, soprattutto le più ricche, sentivano come un obbligo commissionarlo, confermando così il loro ruolo sociale e l’importanza rivestiti nel paese; nessuno peraltro voleva restare indietro ed essere da meno. Un lembo di seta e la composizione poetica stampata significavano molto più di un atto devozionale e di una manifestazione d’affetto verso il destinatario: rappresentavano un momento importante nella vita familiare da esibire in bella mostra in un quadretto appeso alle pareti del salotto.
Lo scritto era composto da tre parti: la presentazione, la dedica e il componimento vero e proprio. Venivano inoltre indicati i festaioli o il comitato dei festeggiamenti e la tipografia che aveva curato la stampa. Per quello che riguardava Valpromaro la maggior parte dei sonetti erano commissionati alla Tipografia Benedetti di Camaiore, che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento aveva acquisito gran  fama in questo campo.
Il sonetto aveva una presentazione che era premessa ad ogni altro elemento, in essa veniva indicato il “titolare” o la causa della festa, il luogo e la data di svolgimento. Per quanto riguarda le dediche potevano essere le più svariate, con espressioni oggi desuete e che fanno un po’ sorridere: ci si rivolgeva a bambini, signorine, fidanzati, gruppi di giovani, coniugi, emigrati, soldati.
I componimenti potevano essere anche di genere diverso. E molte erano le possibilità: odi, inni o comuni canti religiosi, semplici preghiere, brani in prosa, di letteratura classica o ripresi dalla Liturgia. Nei testi si percepiva lo sforzo di adattare un genere letterario profano a tematiche religiose, utilizzando materiali di derivazione classica, provenienti dalla cultura scolastica o da successive letture. Gli autori spesso erano poeti dilettanti, appartenenti alla schiera degli stornellatori o improvvisatori in rima, molto frequenti in passato in queste zone, ma poteva essere il parroco del paese o il predicatore chiamato per l’occasione. La stampa veniva effettuata su tessuto, in genere seta.  A volte in alternativa si usava il cartoncino, in un ridotto numero di esemplari riservati alla famiglia a cui il sonetto era dedicato. Le copie su carta dai colori sgargianti e vistosi erano più numerose e la quantità variava in funzione dell’importanza della festa, del committente e delle offerte raccolte. Il risultato finale della composizione dipendeva poi dall’abilità del tipografo, nello scegliere in modo appropriato il carattere di stampa, la cornice, i fregi e il bozzetto, accostando il tutto in modo da non dar luogo a stonature. Da una raccolta di questi “documenti minori”, si possono trarre analisi e considerazioni di carattere sociologico non marginali.